Se la scuola ha bisogno di una svolta


A. D’Avenia - La Stampa 2 settembre 2017. 

Due sono gli ambiti su quali si gioca la partita della scuola: uno antropologico, uno di sistema.
La scuola da troppo tempo è diventata un ambiente autoreferenziale in cui la burocrazia si è progressivamente impadronita degli spazi e del tempo da dedicare all’unico centro di gravità scolastico: la relazione educativa. La relazione è come l’aria: più è buona più vivi, ma ti accorgi che esiste solo quando diventa irrespirabile. Senza relazioni educative di qualità la scuola perde la sua essenza e si trasforma in un ambiente fatto di muri, ruoli, voti.
Una relazione per essere reale deve produrre effetti rilevabili, e quella educativa ha come effetto nei ragazzi l’introduzione personale, graduale e progressiva alla realtà, che ha come conseguenza nell’ordine: la conoscenza di se stessi, il consolidamento della propria identità e la fioritura dei talenti. Il tasso di dispersione scolastica (ragazzi che si ritirano prima dello scadere dell’obbligo) in Italia tocca cifre che dimostrano che questa relazione è diventata irrespirabile: 20% per chi sceglie i licei, 40% per chi sceglie istituti professionali. Sono cifre patologiche i cui sintomi coinvolgono chi resiste in misura non letale ma dolcemente asfissiante: noia, disinteresse, ansia, repulsione.
Gli insegnanti, il cui contratto è bloccato da anni, hanno uno stipendio insufficiente, e i ragazzi non sono seguiti secondo percorsi personali dettati da un collegamento tra le tappe (primaria, secondaria di primo e secondo grado): il ragazzo non ha una storia ma produce risultati. Lo dimostra l’indotto di ripetizioni private che portano a guadagnare, in nero, in un mese il doppio del proprio stipendio, gravando sulle finanze delle famiglie che possono permetterselo. Le lezioni private mostrano che la didattica a scuola non funziona, perché dipende dalla qualità della relazione educativa: non è questione di iPad o di lavagne elettroniche (strumenti che semplificano il lavoro, ma non sostituiscono la relazione, altrimenti metteremmo le lezioni online e ci vedremmo solo per le interrogazioni e i compiti).
Questi fatti ben noti a tutti mostrano che la nostra scuola allo stato attuale contravviene a quel principio che vorrebbe la nostra Repubblica impegnata a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3 della Costituzione). In questo senso la nostra scuola è, negli effetti, abbastanza anticostituzionale, anche perché non consente una reale libertà di scelta da parte delle famiglie e nei risultati conferma il censo di appartenenza e la cultura di partenza dei ragazzi. Più che un’ascensore sociale è diventato un ammortizzatore sociale, una falsa promessa al ribasso e un efficace specchietto per discorsi elettorali sentimentali.
A tutto questo si aggiunga un appiattimento della scuola a industria di risultati, in cui conta più la prestazione che la presenza, come mostrano da un lato l’esistenza di diplomifici che consentono di fare due anni in uno senza che nessuno batta ciglio, dall’altro un quasi del tutto assente progetto di orientamento scolastico e poi professionale. Alle medie è lasciato alla quasi totale improvvisazione, con giudizi per lo più impressionistici che portano le famiglie a scelte non basate sulla realtà ma su comodità, convenienza, tradizione. Per non parlare dell’orientamento alle superiori in vista della scelta lavorativa o universitaria, ridotto spesso a spot delle università stesse per accaparrarsi iscrizioni. La nostra scuola è priva di un sistema di orientamento serio e l’alternanza scuola-lavoro diventa efficace solo in casi virtuosi o per scuole più fortunate di altre. Non è un caso che i ragazzi finiscano i loro 13 anni di percorso senza conoscere qualche indizio della loro vocazione professionale. In molti casi non sanno neanche che facoltà scegliere.
A livello di sistema si potrebbero scrivere pagine, ma basti sapere che ogni studente costa alla Stato e quindi alle nostre tasche quasi 7 mila euro, una retta di tutto rispetto in una scuola privata. Il servizio ricevuto non risponde a questo investimento come mostrano le condizioni dell’edilizia e dell’ambiente scolastico, la mancata attivazione di corsi di recupero veri, retribuiti e gratuiti, per evitare le ripetizioni private. È evidente quindi che questi soldi si disperdono in un sistema iperburocratizzato o inefficiente, perché a fronte di una spesa del genere alcune scuole paritarie offrono servizi di ottimo livello. Quindi anche in questo caso la nostra scuola, pur essendo «aperta a tutti» (art. 34 della Costituzione), è anticostituzionale.
Tutto è affidato a dirigenti e docenti che, dotati di professionalità completa, curano i tre ambiti della relazione educativa (amare e conoscere ciò che insegno, come lo insegno, a chi lo insegno). Sono quelli che tutti ricordiamo, loro sì che sono Costituzionali. Potrebbero costituire la normalità della scuola, se solo li volessimo portare a sistema, e invece troppo spesso in Italia sono un’eccezione. E magari qualcuno li deride pure come dei donchisciotte e non sa che sta ridendo del futuro del Paese.
La Stampa, 2 settembre 2017

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